Brexit, tanta paura per nulla?

I mesi estivi oramai alle spalle, hanno in buona parte contribuito a ridimensionare alcune delle paure che avevano invece caratterizzato i mesi precedenti e, soprattutto, il periodo successivo al referendum sulla Brexit dello scorso 23 giugno. Allo stato attuale delle cose, è probabile che nel corso del terzo trimestre la crescita globale possa risalire, con accelerazione dell’attività nel settore manifatturiero. Continua però a non esserci grande ottimismo sugli sviluppi congiunturali, tant’è che le stime di crescita 2017 sono state soggette a limature più o meno ampie.

Brexit, conseguenze contenute (ma attenzione al futuro)

Tornando alla Brexit, tema che ha catalizzato l’attenzione nella scorsa primavera, e ha infuso numerosi sforzi recenti per cercare di comprendere che cosa sarebbe potuto accadere al vecchio Continente dopo l’abbandono della Gran Bretagna all’Unione Europea, appare evidente come le conseguenze del referendum sull’economia siano state piuttosto contenute, non essendosi manifestata quella profonda crisi di fiducia da cui dipendevano le ipotesi più catastrofiche riguardo agli effetti immediati.

Buona parte del merito (oltre che alla BoE e alle sue azioni particolarmente incisive ed efficaci) è anche attribuibile al fatto che la crisi di governo è stata risolta rapidamente, e il nuovo esecutivo ha reso ben chiaro che non vi è alcuna fretta di formalizzare la richiesta di uscita. In generale, si è verificato un allentamento delle condizioni finanziarie, e non soltanto per le misure di politica monetaria adottate dalla Banca d’Inghilterra: il movimento più eclatante è stato quello della sterlina, il cui corso si è ricollocata fra 1,29 e 1,34 dollari, e si è deprezzata di quasi l’8% in termini di cambio effettivo. Il differenziale di rendimento fra Gilt decennale e Bund decennale è calato di oltre 40pb e l’indice azionario è su livelli più elevati oggi rispetto a prima del referendum.

L’economia britannica sta comunque proseguendo senza particolari strappi lungo quel sentiero di rallentamento che aveva già imboccato prima del referendum del 23 giugno, e che interessa soprattutto la dinamica occupazionale e la spesa in conto capitale. Sul breve termine, difficilmente l’export verso il Regno Unito ne risentirà negativamente, sia per effetto di una domanda più debole, sia per la svalutazione della sterlina. Tuttavia, gli altri paesi non hanno sofferto ripercussioni attraverso altri canali, come quello finanziario.

Paesi emergenti, nuove stime di accelerazione

Intanto, a beneficiare alla ripresa economica globale sono state anche le prospettive dei Paesi emergenti: la situazione dei grandi produttori di petrolio sta suscitando una evidente minore preoccupazione, dopo che la ripresa delle quotazioni si è consolidata fra i 40 e i 50 dollari al barile, pur senza produrre strappi al rialzo. Per quanto attiene l’evoluzione del greggio, al di là del (pare) recente accordo in seno all’OPEC per la riduzione dei quantitativi di offerta, difficilmente, nel concreto, gli stessi membri OPEC e la Russia avranno la disponibilità a rinunciare volontariamente a quote di mercato per tentare di riportare le quotazioni su livelli più remunerativi, anche per la forte reattività dimostrata dalla produzione americana, e che quindi il riassorbimento dell’eccesso di offerta e la ripresa delle quotazioni saranno lente e modeste.

In Asia, in Cina si sono consolidati i miglioramenti dei dati economici, peraltro confermati da una piccola ripresa delle esportazioni verso il paese dall’Eurozona e dal Giappone. Le politiche di sostegno alla domanda hanno quindi sortito gli effetti sperati, anche se il futuro non è certo privo di conseguenze potenzialmente negative: rimangono infatti le incertezze che risultano essere legate all’eccessiva dipendenza della crescita dagli investimenti e all’eccesso di indebitamento e, perciò, i dubbi sulla sostenibilità della crescita cinese non sono certamente stati dissipati.

Emergenti e maturi, due andamenti divergenti

In aggiunta a quanto sopra, bene sottolineare come il miglioramento evidente della situazione all’interno dei Paesi emergenti sia stato in parte compensato da dinamiche opposte nei paesi avanzati, che hanno impedito una significativa accelerazione del PIL globale nel corso del secondo semestre. Negli Stati Uniti, nonostante le buone notizie che sono concernenti il trend dei consumi, la crescita del PIL è stata piuttosto debole anche nel secondo trimestre, frenata da un ciclo di scorte sfavorevole e dal calo degli investimenti delle imprese. Nel terzo trimestre dovrebbe verificarsi l’attesa riaccelerazione, ma il tasso di disoccupazione, ormai su livelli molto bassi parla di un ciclo di espansione ormai abbastanza maturo. L’Eurozona, infine, continua a crescere (poco), in linea con le attese nel primo semestre, con margini di aleatorietà sulla tenuta per il secondo semestre.

Insomma, alla luce delle riflessioni di cui sopra, sembra che all’orizzonte vi sia un profilo di crescita modesta ma duratura, contraddistinta da bassi tassi di inflazione nei Paesi avanzati, da una bassa elasticità del commercio internazionale rispetto alla crescita del Pil e da una bassa propensione all’investimento. Caratteristiche che potrebbero far pensare alla lontana a una potenziale espansione matura, destinata a perdere slancio, ma che in realtà non sembra essere una “fine espansione”. Mancano, ad esempio, delle vere pressioni inflazionistiche che possono spingere le banche centrali a imporre politiche monetarie restrittive o, ancora, sintomi di squilibrio finanziario. Pertanto, a meno di un crollo del sistema finanziario cinese, la fase di espansione sembra avere ancora un pò di strada da fare, con tassi di crescita comunque non drastici.

Esperto di trading e finanza, mi dedico alla stesura di articoli accurati e informativi, con l'obiettivo di fornire approfondimenti e conoscenze utili per orientarsi nel complesso universo degli investimenti.

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