Crisi politica spagnola: quale uscita?

La crisi politica spagnola non sembra avere una facile via di uscita. Nonostante gli sforzi, lo scorso 31 agosto Rajoy ha ottenuto dal Congresso soltanto 170 voti, ovvero 6 meno di quelli necessari per la maggioranza assoluta, con l’evidenza ulteriore che nessuno dei partiti di opposizione ha manifestato disponibilità ad astenersi per consentire l’avvio di un governo di minoranza. A complicare il tutto, anche l’elemento temporale: ci sono infatti appena due mesi per evitare nuove elezioni anticipate, e i contrasti tra i vari partiti sembrano essere insanabili.

In particolare, il PSOE ha continuato a ribadire l’intenzione di votare contro, nonostante all’interno del partito vi sia comunque una fronda che sembra aprire ad una posizione diversa, creando pertanto una spaccatura (non comunque profonda) all’interno del PSOE. Peraltro, qualche giorno fa un portavoce del PSOE ha affermato che il problema non è Rajoy, ma il programma del Partito Popolare (PP). Quanto basta per lasciar intendere che non si arriverà a un accordo nemmeno nel caso in cui il leader del PP faccia un passo indietro (comportamento che, comunque, non è prossimo alla realtà).

Un governo Rajoy è ancora possibile?

A questo punto, giova cercare di ipotizzare se sia ancora possibile realizzare un governo guidato da Rajoy, e basato non solamente sui voti del PP, quanto anche di quelli di Ciudadanos. Le probabilità, in tal proposito, sono davvero poche, ma non certo impossibili da riprodurre.

Il primo scenario è un ripensamento dei baschi del PNV, che attualmente contano 5 seggi. Il secondo è invece quello di una crisi del PSOE, che oltre alla spaccatura che si sta creando sulle diverse posizioni da assumere in questo scenario, potrebbe conseguire a margine delle elezioni locali del 25 settembre in Galizia e Paesi Baschi.

Possibile un governo non Rajoy?

Se le due situazioni di cui sopra sembrano essere molto difficili ma, comunque, ancora ipotizzabili, vi sono ancora minori possibilità che possa conformarsi un governo non guidato da Rajoy, bensì supportato da PSEO e Podemos. Le possibilità che un simile scenario possa elaborarsi positivamente sono invero scarse, anche se negli ultimi giorni anche se Podemos è tornato a sollecitare Sánchez perché tenti lui stesso di formare un governo.

Ad oggi, Podemos e PSOE contano soltanto 130 seggi e con l’appoggio di Ciudadanos salirebbero a 162. Ovvero, ben 14 in meno della maggioranza assoluta. Dunque, per poter superare questo scoglio, necessiterebbero comunque dell’appoggio o dell’astensione di diversi partiti autonomisti. Inoltre, difficilmente possono essere conciliabili le posizioni di Podemos e di Ciudadanos, i cui approcci sono sostanzialmente alternativi, come ha ricordato il portavoce del PSOE. Dati i rapporti di forze e i veti incrociati, lo scenario di un nuovo ricorso alle urne entro fine anno rischia di diventare inevitabile.

E se si votasse di nuovo?

Se entro due mesi non si arriverà a una soluzione, il destino sembra essere quello di nuove votazioni. E, purtroppo, anche in questo caso non sembrano esservi delle soluzioni a portata di mano: i sondaggi non mostrano infatti un significativo spostamento delle intenzioni di voto, ma se la posizione di Sánchez non fosse premiata dagli elettori, a quel punto il PSOE potrebbe ammorbidire la propria linea.

Cosa si rischia?

La Spagna rischia di pagare il conto di questa impasse, ma gli effetti potrebbero comunque non essere catastrofici. Il Paese non ha infatti necessità impellenti di approvare delle riforme strutturali; il livello del debito pubblico è inoltre relativamente basso rispetto a quello italiano, ed ha consentito di mantenere una posizione fiscale più accomodante rispetto alla Penisola. Pertanto, dopo, gli interventi emergenziali seguiti alla crisi finanziaria, la Spagna può avere il “lusso” di non aver più bisogno di ottenere il consenso per grandi interventi di riforma.

Tradotto in termini concreti, quanto sopra significa che una situazione come quella spagnola può essere gestita nel lungo termine anche da governi deboli, con maggioranze risicate. Un panorama che pertanto non dovrebbe sorprendere negativamente le posizioni degli investitori locali e internazionali, i quali non dovrebbero esercitare gravi pressioni su Madrid.

Attenzione, però, a non sottovalutare a lungo questo contesto. Se infatti è vero che non ci sono necessità impellenti di riforme strutturali, e che il debito pubblico mostra margini di relativa gestibilità, è anche vero che il Paese presenta vulnerabilità che potrebbero tornare a pesare in un contesto internazionale più sfavorevole. Tra le varie, si ricorda la presenza di un alto indebitamento nel settore privato, un debito estero a oltre il 90% del PIL, un deficit del settore pubblico al 5% del PIL, che sta portando il debito pubblico rapidamente su livelli prossimi a quelli italiani, livelli di povertà ed esclusione sociali alti rispetto alla
media europea, e (come in Italia) debole propensione a investire.

Esperto di trading e finanza, mi dedico alla stesura di articoli accurati e informativi, con l'obiettivo di fornire approfondimenti e conoscenze utili per orientarsi nel complesso universo degli investimenti.

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