Trump, le sue politiche influenzeranno il piano internazionale?

Eletto a sorpresa (almeno, dei sondaggisti), Donald Trump è un sostanziale sconosciuto a livello politico. Dunque, non è possibile cercare di prevedere con particolare congruità quali potranno essere le sue priorità e su quali temi si concentrerà l’azione del governo, nel nuovo contesto di potere condiviso a livello esecutivo e legislativo. Un’incertezza che sta condizionando la vita dei mercati finanziari, e che potrebbe turbare non poco i sonni dei macroeconomisti e dei trader di tutto il mondo, visto e considerato che davanti a loro (e a noi) si manifesta un punto interrogativo particolarmente ampio. Ma che cosa è bene attendersi in un contesto che, tendenzialmente, potrebbe essere di avversione al rischio?

Una breve sintesi del programma Trump

Cominciamo con il ricordare che, almeno in termini di politica economica domestica, i temi dominanti nella prima parte del mandato saranno la riforma tributaria e la riforma sanitaria, che richiederanno un lavoro congiunto con il Congresso. Interventi probabili, anche se di minore impatto, saranno anche attuati probabilmente su spesa militare e spesa per infrastrutture. Complessivamente, le misure dovrebbero avere effetti espansivi sulla crescita reale e nominale nel 2017-18.

Uno dei principali timori degli analisti è tuttavia che la politica fiscale espansiva arrivi al momento sbagliato, con l’economia al pieno impiego, determinando più pressioni sull’inflazione che sulla crescita reale e spingendo la Federal Reserve verso un sentiero di rialzi dei tassi più rapidi, con tutto ciò che potrebbe conseguire. Contrariamente a quanto sostenevano alcuni analisti, dunque, non è affatto scontato che l’elezione di Trump possa allontanare la Fed da applicare le proprie scelte di rincaro dei tassi, ma può comunque turbare la serenità della prossima scelta di dicembre, per la quale – comunque – lo scenario principale permane quello di incremento del costo del denaro.

Un’altra evidenza è legata al fatto che il Piano Trump prevede un enorme ampliamento del deficit cumulato in 10 anni (con una stima centrale di 5,3 trilioni), generato da ampie riduzioni delle entrate controbilanciate da un modesto controllo della spesa. Ed è altresì legata al fatto che possano scaturire forti tensioni sociali, comprese quelle che nasceranno in seguito al tentativo di applicazione delle riforme mirate a ridurre l’immigrazione illegale, con il rafforzamento delle politiche esistenti, aumento del personale dell’Immigration Service, costruzione di un muro al confine con il Messico, deportazione degli immigrati illegali attualmente residenti negli USA (11,4 milioni). Molte di queste proposte sono state fatte in discorsi, ma non sono presenti nel programma ufficiale: rimane dunque da chiarire se siano effettivamente perseguibili in tutto o in parte (almeno in parte sì, a giudicare dalle dichiarazioni degli ultimi giorni).

Trump e il fronte internazionale

Arrivando al focus dell’approfondimento, ricordiamo come sul fronte internazionale, il Presidente degli Stati Uniti ha ampi poteri (forse, più ampi di quelli che dovrà “intermediare” in ambito locale). Tra i vari, c’è sicuramente il potere di imporre tariffe commerciali, così come quello – più difficile da esercitare senza il parere del Congresso – di uscire da un trattato commerciale esistente. Le posizioni protezionistiche di Trump potrebbero, senza costi elevati, bloccare i negoziati per trattati nuovi, e spingere il Congresso a non ratificare la Trans Pacific Partnership. Molto più ardua un’uscita unilaterale da NAFTA. Anche l’imposizione di tariffe a due cifre sui beni importati da Cina e Messico non sarebbe una priorità dell’Amministrazione, con la conseguenza che, in fin dei conti, il protezionismo dovrebbe restare più nelle parole che nei fatti.

Si tenga infatti sempre in considerazione del fatto che le posizioni fortemente protezionistiche che sono state enunciate dal presidente Trump nel corso della sua campagna elettorale sono state solo parzialmente condivise da una parte del partito repubblicano ma, al contrario delle misure fiscali, gli interventi sul commercio internazionale dipendono solo marginalmente da decisioni del Congresso. Nelle sue varie dichiarazioni – invero, non tutte sembrano essere meritevoli di profonda considerazione – Trump ha ad esempio minacciato di uscire unilateralmente dal NAFTA e di imporre tariffe a due cifre sulle importazioni da Messico e Cina. Quanto di queste affermazioni è retorica pre-elettorale e quanto è nelle mani del Presidente?

Per quanto riguarda NAFTA, come abbiamo già ribadito, Trump ha più volte detto che intende rinegoziare gli accordi e, se non otterrà miglioramenti nelle condizioni per gli USA, sarebbe pronto a uscire unilateralmente. A ogni elezione, da più di 10 anni, tutti i candidati presidenziali hanno minacciato di uscire dal trattato (inclusi Obama e la stessa Hillary Clinton), presupponendo di poter usare una “azione esecutiva” del Presidente senza consultare il Congresso. La procedura di abbandono del Trattato è semplice e consiste in una comunicazione formale che diventa effettiva 6 mesi dopo, ma non ci sono indicazioni chiare nella Costituzione che indichino a chi spetterebbe la decisione e se sarebbe necessario il consenso del Senato. Inoltre gli importatori americani potrebbero aprire immediatamente azioni legali. Alla luce di ciò, è dunque molto difficile che in realtà Trump possa realmente scegliere di metter mano a una questione così controversa con i due principali partner commerciali degli USA, Canada e Messico.

È invece più libera la mano del Presidente degli Stati Uniti per quanto riguarda le tariffe commerciali: in questo caso, infatti, il Presidente ha effettivamente l’autorità per imporre aumenti tariffari sotto alcune condizioni molto ampie. Perciò la minaccia di imporre tariffe a due cifre sulle importazioni da Cina e Messico sarebbe attuabile unilateralmente, anche senza il parere del Congresso. Poi ci sarebbero interventi del WTO, ma con tempi lunghi e poco prevedibili. Tuttavia, una guerra commerciale sarebbe chiaramente dannosa anche per l’economia USA e difficilmente il presidente attuerà le minacce sulle tariffe, considerando il peso del commercio con Cina, Messico e Canada.

Alla luce di quanto sopra, sembra dunque che lo scenario internazionale nel post-Obama possa effettivamente essere intaccato dalle decisioni di Donald Trump, ma senza che questo possa costituire una vera e propria rivoluzione per il panorama globale. In altri termini, è molto probabile che anche sul piano estero le posizioni “drastiche” di Trump saranno mediate con il Congresso, e che dunque le affermazioni in campagna elettorale rimangano sul piano della retorica comunicativa, piuttosto che sul fronte dell’interventismo concreto…

Esperto di trading e finanza, mi dedico alla stesura di articoli accurati e informativi, con l'obiettivo di fornire approfondimenti e conoscenze utili per orientarsi nel complesso universo degli investimenti.

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